venerdì 29 ottobre 2010

Toddi e la demodoxalogia

Antonella Beccari sul blog Antologia X  (http://blog.biblioiconoteca.it/, nel presentare lo scrittore, giornalista e docente universitario vissuto nello scorso secolo, Pietro Silvio Rivetta conte di Solonghello, meglio conosciuto con lo pseudonimo di  Toddi ha, tra l'altro, scritto:
"Del suo contributo si è avvalsa la demodoxalogia, per rendere comprensibile l'unitarietà della scienza.
Circa il significato di demodoxalogia, l'enciclopedia virtuale Wikipedia, così si esprime: demodoxalogia (demo=popolo, doxa=opinione, logos=discorso) è lo studio dell'opinione pubblica: disciplina che si propone di approfondire i presupposti psicologici e sociali che informano e formano l'opinione pubblica e tende ad ottenere una migliore combinazione fra la notizia, il pubblico e il mezzo impiegato."
E' una segnalazione che farà senz'altro piacere ai demodoxaloghi della Sidd in quanto l'autrice ha centrato il collegamento fra la demodoxalogia e Toddi. Un collegamento da me esposto per la prima volta nelle dispense cartacee della Sidd (2001) e nel corso online in 36 puntate (2009) sul sito http://www.opinionepubblica.com/

giovedì 28 ottobre 2010

Sensazioni strane

Secondo il noto giornalista Sergio Rizzo del Corriere della Sera da parecchi mesi, in tutta la penisola, si percepisce qualcosa di strano nell'atmosfera, non è l'inquinamento e neppure l'incostanza del clima, ma un malessere che circonda e serpeggia tra la gente: un'inquietudine sociale, percepita come qualcosa che dovrà accadere.
E' la stessa sensazione che ho conosciuto, condividendola con coetanei ed adulti, nei giorni che precedettero l'ingresso delle truppe americane a Roma. La gente ed il clima sociale della città era strano, ovattato, troppo tranquillo, ognuno tirava avanti per suo conto riducendo al meno possibile i contatti con gli altri. Sarebbe esagerato dire che fosse una sensazione di paura, forse più uno smarrimento, un'attesa fatalistica degli eventi.
L'opinione pubblica percepisce attraverso l'incoscio collettivo l'avvicinarsi dei mutamenti, segnalati da sottomodalità della cronaca quotidiana. L'opinione non si trasmette solo con lo scritto o la parola ma anche attraverso i cinque sensi, i gesti, il clima sociale e la vita di ogni giorno. Nascono così delle sensazioni che passano dall'una all'altra persona, allargandosi come i cerchi nell'acqua dopo l'impatto con un sasso; per giungere alla fine ad opinioni collettive, cioè all'opinione pubblica. A quella opinione che gli storici, con il senno del poi, classificheranno come la molla che ha caratterizzato quel determinato periodo. Non per nulla Abramo Lincoln ha sentenziato: "Con l'opinione pubblica dalla nostra parte ogni cosa riesce, con l'opinione pubblica contraria ogni iniziativa fallisce".
Come demodoxaloghi abbiamo sempre scritto e divulgato nei seminari che "il punto di riferimento nell'agire scaturisce da pareri contingenti [...] da quanto si è veduto, dalle esperienze fatte, dal si dice della gente [...] a causa dell'evidente ruolo che i fattori imitativi possono giocare nella spiegazione di molti comportamenti sociali". Salomon E. Asch, in proposito ha scritto "noi ci influenziamo l'un con l'altro [...] per mezzo di emozioni e di pensieri". La formazione dell'opinione pubblica è stata ed è tuttora il principale filone di studio dei demodoxaloghi, da Paolo Orano  (fin dal 1928) ai giorni nostri, passando per  Federico Augusto Perini-Bembo, Felix A. Morlion, Mario Del Vescovo, Carlo Curcio, Adriano Magi-Braschi  e moltissimi altri; con gli ultimi studiosi riuniti nella libera accademia Sidd.
Sul piano politico e per ritornare a Rizzo, un segno evidente di scollegamento generale è dato anche dall'assenza, perdurante da giorni, di Silvio Berlusconi nella sua qualità di presidente del Consiglio dei Ministri dall'attività politica-istituzionale e la mancata nomina ai vertici della Consob, l'organismo più importante di controllo della borsa valori. Una sottomodalità di quelle percezioni sociali che indica difficoltà in seno al governo e allo stesso partito di maggioranza contribuendo all'inquietudine generalizzata.

mercoledì 27 ottobre 2010

Le donne di Rousseau

Le donne di Rousseau è uno spaccato di storia della società borghese del 1700, vista attraverso i costumi e le vicende amorose, alcune vere altre inventate per ammissione dello stesso autore: Jean-Jacques Rousseau. Un libro che può leggersi anche passando da un capitolo all'altro senza seguire l'ordine di successione ma a sbalzi, prima l'ultimo poi uno a caso e così via; solo dopo aver letto tutti i diciannove capitoli ed essersi fatti un'idea sui contenuti consigliamo di passare all'introduzione con il  commento dell'autrice (la docente Mascia Ferri) su "Le donne e la costruzione immaginaria del sociale". Come sappiamo Rousseau ebbe una vita avventurosa, con alterna fortuna, adattandosi anche ad umili lavori. Accolto nell'alcova da varie dame ebbe un grande successo filosofico-letterario ma patì anche l'ostracismo della Chiesa e del Parlamento francese, che lo costrinsero a vagabondare per l'Europa. Molte sue opere furono pubblicate postume, in un libretto anonimo Francois-Marie Arouet Robespierre lo accusò di aver messo in befetrofio i figli avuti da una delle tante amanti: Thérese. Molto opportunamente la Ferri curatrice dei brani, scelti dopo un'accurata ricostruzione delle lettere, delle confessioni e delle opere di Rosseau, ha specificato l'argomento nel sottotitolo del libro: Amanti, sesso e vizi del filosofo della Rivoluzione.
La Ferri ha inquadrato i rapporti amorosi di Rousseau nello spirito di denuncia della "degenerazione dei costumi" della società e nell'ansia di "rinnovamento che deve avvenire prima interiormente attraverso l'educazione, e poi esteriormente riorganizzando i ruoli all'interno della famiglia e quindi della società". Per il filosofo francese non esistono passioni lecite o proibite, sono tutte buone quando non ci si lascia travolgere oltre la portata delle forze umane (che concidono con gli stimoli della natura) ma riusciamo a dominarle. Il libro ruota intorno alla femminilità, sia essa di prostitute o di nobili, valorizzandone pregi e difetti in funzione della sposa, dell'amante, dell'educazione dei figli raggiungibili nella semplicità della modestia, attraverso l'appagamento della stima del marito e della felicità della famiglia. Sembrerebbe un ruolo riduttivo della donna ma in Rousseau non è così: "l'intelligenza delle donne si forma prima di quella degli uomini"; esse sono costrette alla difensiva fin dall'infanzia e, quali depositarie di un bene difficile da custodire, apprendono prima cosa è il bene e il male. Il Cristanesimo, sottomettendo il matrimonio a severe norme, rende impraticabile la libertà del sentimento, che non è una colpa.
Dato che l'uomo e la donna, sia nel carattere che nel temperamento, non sono e non devono essere costituiti nello stesso modo, ne consegue che non devono neppure ricevere la stessa educazione. Ma il progresso della civiltà, alimentato dalle illusioni create dall'immaginazione, quando si affida alle "vane scienze" causa pericolosi effetti. Occorre pertanto agire in termini scientifici guardando "il mondo senza il filtro dei pregiudizi sociali in generale e quelli religiosi in particolare". Ne consegue il "contratto sociale" come conciliazione tra valori individuali e ordinamenti sociali, tra il reale e l'immaginario. Ma per attuare una vera riforma sociale Rousseau vede nella donna la figura necessaria per spingere l'uomo all'azione, proprio grazie alle sue caratteristiche femminili che la distinguono nettamente dall'uomo. Infatti per l'autore la seduzione non è vizio o furore erotico ma il motore della storia attraverso la sessualità interpretata come stimolo per l'agire, come contributo per un auspicato ordine sociale. E l'immaginazione è rifugio dalla caducità umana e dall'abitudine. Conclude la Ferri: "L'immaginazione diventa allora il tramite per la propria riconciliazione. Essa è la chance che Dio ha offerto all'uomo di essere libero".
Ovviamente i capitoli riportano brani che si leggono come un gossip, tra alcove, amanti e vizi con dame, cameriere e prostitute; non mancano neppure le avances sessuali dei prelati. Le donne di Rousseau è edito da Bonanno (http://www.bonannoeditore.com/), anno 2009, pagine 228, euro 18.00.

martedì 26 ottobre 2010

Segnalazioni

Sul numero di ottobre dell'agenzia stampa online Informatore Economico Sociale (http://www.demodossalogia.it/), diretta dal demodoxalogo Francesco Bergamo, segnaliamo le considerazioni sul sistema dell'informazione e dei sondaggi campionari.
Nel postmoderno la società è pregna della cultura del declino, contraddistinta dalla frammentazione ove tutti sono contro tutti e tutto è il contrario di tutto. Titoli urlati, spezzoni di film usati per introdurre informazioni d'attualità, gossip ed informazione, passaggio da una notizia tragica ad un evento futile, e così via. I telegiornali sembrano il riempimento dello spazio tra una pubblicità e l'altra. In questo quadro di decadenza, ove il giornalista perde la funzione di informare e far capire per accrescere il intrattenimento, il ritorno alle 20.30 di Enrico Mentana con il suo TG della 7 tv ha dato una sferzata ad un modello appiattito e grigio rivitalizzando il telegiornale con un'approfondita informazione sui veri fatti d'attualità, scacciando i gossip e quelle altre notizie che contribuiscono a sviare l'attenzione dell'utente dalla realtà della vita quotidiana.
Per quanto riguarda il carotaggio sociale, i sondaggi non forniscono più la fotografia della società in quanto essa è divenuta sempre più frastagliata. Meglio l'osservazione partecipante: il contatto diretto attraverso una chiacchierata informale; i quesiti e le telefonate hanno fatto il loro tempo.
Tra gli altri argomenti: le guerre dimenticate, l'intervista al primate della chiesa di Antiochia sulla situazione libanese, il dossier Marcegaglia, l'approccio sessuale dei giovani veneziani.

lunedì 25 ottobre 2010

Talk Show

All'inizio i dibattiti politici televisivi consistevano in un presentatore, un politico e una decina di giornalisti di varie tendenze che rivolgevano le domande al parlamentare di turno. Dato che spesso scappava qualche domanda che metteva in imbarazzo l'interpellato, si passò all'approfondimento politico con un conduttore e due esponenti di diversa estrazione partitica; con i giornalisti a casa.
Nel frattempo il sistema radiotelevisivo ha fatto balzi in avanti sul piano della tecnica, degli utenti, delle scenografie, ecc. La Rai da emittente controllata dal governo è di fatto passata nelle mani dei partiti e, di conseguenza, sono aumentate le trasmissioni di educazione politica, cioè i dibattiti per mettere in mostra questo o quel parlamentare nell'illusione di poter accaparrare voti. Sul versante della gestione economica dell'ente radiotelevisivo pubblico, con un deficit spaventoso rimpolpato dallo Stato e quindi con le tasse dei cittadini che pagano anche il canone, si è sempre più prestata attenzione "agli ascolti" in quanto in grado di aumentare gli introiti pubblicitari.
La televisione, definita il piccolo schermo rispetto al cinema, ha ormai superato per ampiezza di presenza, ascolti e coinvolgimento, il grande schermo. Alle vecchie modalità di "fare spettacolo" e toccare il sentimento dello spettatore indirizzando l'empatia verso un protagonista del film, si è aggiunta la possibilità di raggiungere l'utente a domicilio catturandone l'attenzione. Come? Alle luci, suoni, colori, belle ragazze, i creativi della tv  adeguandosi ai modelli sociali, invece di scegliere quelli educativi (secondo il pensiero di un certo pubblico) hanno proposto personaggi e atteggiamenti negativi. Certo, anche per l'ascoltatore è più intrigante vedere due che litigano piuttosto che ragionare; per partecipare ad un ragionamento occorre pensare (ed è più faticoso)  seguire una rissa è come vedere una partita di calcio o di boxe, si partecipa con il sentimento per schierarsi da qualche parte del campo.
Ecco allora Il grande fratello e i vari Talk Show. La politica non poteva mancare e i dibattiti parlamentari si sono tramutati in "spettacoli", con un presentatore, tanti vip di ogni genere e sesso, ed un pubblico spesso pagato per applaudire chi più è scomposto, facinoroso ed un vero e proprio teppista. Nell'odierno comportamento si è fatta strada l'idea (grazie agli esempi visti in tv)  che con l'aggressione, il sesso e la bestemmia si entra nel clan dei vincenti.
Dato che la tv, proponendo dei modelli, crea stereotipi, comportamenti, valori e bisogni, è invalsa la convinzione in molti comunicatori di aumentare l'audience tra i consumatori o gli elettori adeguandosi alla scompostezza. Basterebbe invece guardare la pubblicità per vedere quante poche siano le forme di violenza nella comunicazione pubblicitaria; se è così un motivo ci dovrebbe essere: non conquistano pubblico. Secondo i demodoxaloghi è così anche nei talk show politici: l'esagerazione non conquista voti; rafforza semplicemente le convinzioni degli elettori più accaniti allontanando coloro che cercano di capire ragionando.

venerdì 22 ottobre 2010

Comunicazione, pregiudizi e tv

Nelle grandi come nelle piccole cose viviamo nell'illusione di conoscere la realtà. Invece ci culliamo con dei pregiudizi (qualcuno li chiama stereotipi) che sono stati autorevolmente inculcati da altri: l'esistenza del diavolo tentatore, che al giorno d'oggi ha perso le corna e la coda di quando ero ragazzo; le rivoluzioni come liberazione dei popoli; la democrazia come soluzione per tutti i mali; e così via. C'è sempre qualche "comunicatore" (profeta, filosofo, scrittore, politico, perfino terrorista) che racconta la sua versione con dovizia di particolari che l'accreditano come un dato di fatto.
Ad Avetrana un inviato al corrente dei fatti ha detto che i carabinieri erano entrati a casa del presunto assassino (reo semiconfesso) per cercare le chiavi di casa che la madre di Sarah assicurava essere in possesso della figlia; un'altro giornalista ha affermato che i carabinieri cercavano le chiavi di Michele. Ancora: un'amico delle ragazze è stato convocato dall'inquirente: secondo un canale televisivo per essere sottoposto ad interrogatorio, nella versione di un'altra emittenza per ritirare il cellulare che gli era stato sequestrato. Piccole cose che contribuiscono (se dette autorevolmente, e chi meglio della tv?) ad indirizzare il pensiero da una o l'altra parte.
Il fatto è che non si fa più informazione ma comunicazione (non per nulla è sorta la laurea in Scienze della Comunicazione). L'informazione è una precisa notizia: il signor  X  è stato convocato in Tribunale, i carabinieri sono entrati in casa di  Y. Tutto il resto è commento, abbellimento, presentazione suadente per accattivarsi gli utenti in quanto la televisione è essenzialmente spettacolo. Ma uno spettacolo imbonitore che sviluppa comportamenti. Una piccola riflessione: nella metropolitana di Roma le telecamere riprendono una donna stesa in terra ma nessun passante che si ferma; ad Avetrana c'è il pellegrinaggio (o visita turistica) davanti al pozzo ove è stata ritrovata Sarah Scazzi o alla casa della cugina, con tanto di gente in posa davanti alle telecamere, pronta a dire la sua o fare foto con il digitale.
Nel 1989, come demodoxalogo, sostenni nell'intervento alla LX Riunione della Sips (in atti http://www.sipsinfo.it/) che i massmedia hanno sostituito il ruolo del protagonista dell'azione e reso l'uomo "strumento dell'immagine di se stesso", col risultato che non comunichiamo più direttamente [mediante informazioni] "ma attraverso gli strumenti del comunicare", per incidere sulla formazione dell'opinione pubblica e, in definitiva, fare o disfare la Storia. E, dato che viviamo in un'epoca ove ciascuno vuole essere partecipe e la tv è lo strumento principe in quanto diretto, popolare e spettacolare, chi può "partecipa" recandosi sul posto e gli altri "partecipano" attraverso il piccolo schermo; tutti sentendosi protagonisti di un evento che rimarrà nelle cronache.

giovedì 21 ottobre 2010

Segnalazioni

Nell'ambito dei giovedì culturali promossi dalla sezione campana dell'Associazione Nazionale Sociologi segnaliamo i temi dei prossimi incontri:
- 28 ottobre, Sociologia e didattica
- 4 novembre, Arte e comunicazione
- 18 novembre, Riqualificare il centro storico di Napoli
- 25 novembre, Giustizia ed informazione
- 2 dicembre, Centralità marginali
- 9 dicembre, Il ruolo del sociologo tra prospettive e nuove figure professionali.
Per informazioni: info@ans-sociologi.campania.it

Il 26 ottobre a Roma, alle ore 10.30, presso il teatro Orione in via Tortona, 7 (nei pressi di piazza Re di Roma) verrà presentato il XX Rapporto sull'immigrazione a cura della Caritas italiana, fondazione Migrantes e Caritas diocesana di Roma. Informazioni: idos@dossierimmigrazione.it

Il 13 novembre a Torino presso il Centro congressi Molinette un confronto organizzato da Alessandro La Noce, tra sociologi, psicologi, medici, educatori ed avvocati su "La coppia e l'adolescente".

mercoledì 20 ottobre 2010

Colpire Berlusconi

Le notizie che ogni giorno ci arrivano dalla stampa e dalla radiotelevisione pubblica e privata invece di aiutarci a capire contribuiscono a confonderci le idee o, peggio, a creare opinioni di parte falsate da informazioni incomplete o distorte. In una parola ad incentivare stereotipi (conservare nel tempo atteggiamenti ed idee assimilate), che in pratica altro non sono che pregiudizi (opinioni che si hanno senza conoscere tutti gli aspetti dell'argomento in oggetto).  Assimilando quella parte di realtà che ci è stata presentata nel modo più convincente, per fattori estetici, mediatici, autorevoli, ecc., riteniamo di essere nel giusto e pertanto di poterci posizionare contro o in favore di questo o quello.
A volte basta una stupidaggine per convincerci, purchè sia detta bene da un personaggio autorevolmente referenziato o divulgata da uno strumento, cartaceo o radiotelevisivo, destinato a fare opinione. Anche nelle cose più semplici. Per esempio nell'evento di Avetrana ove è stata uccisa la povera Sarah (l'unico dato sinora certo) un esperto del linguaggio del corpo, che da oltre un decennio addestra la polizia e fornisce perizie agli inquirenti, ha sostenuto che l'assassino (nelle sue diverse dichiarazioni) era chiaramente individuabile come mentitore attraverso alcuni gesti corporali: l'inclinazione di una spalla, il movimento di un braccio, e così via. Perbacco, siamo in buone mani se l'atteggiamento del corpo è sufficiente a condurre in porto le indagini! Applicando lo stesso metro di giudizio possiamo dire che molti conduttori televisivi o meteorologhi mentono in diretta. Oppure che l'inclinazione della spalla derivi dalla sedia scomoda o da un'artrite, così come il gesto della mano allontani un'insetto o combatta un prurito.
E così, basandoci su quello che apprendiamo, migliaia di persone si appagano dei pregiudizi rifiutando ulteriori confronti, certi nel vero. Ecco allora l'accanimento, per esempio, contro  Silvio Berlusconi qualsiasi evento lo circondi o la sua idiosincrasia per la magistratura politicizzata. Pregiudizi che portano gli esaltati a lanciagli contro statuette o incitamenti a distruggerlo.
Il servizio televisivo di Reporter è un bell'esempio di pregiudizi: il clan di Berlusconi ha accusato di falsità la trasmissione prima ancora di vederla, i nemici del premier hanno giudicato l'inchiesta come una prova delle sue nefandezze. Berlusconi è stato ed è un'imprenditore e come tale svolge la sua attività, c'è da fare un affare nelle Isole Cayman? Perchè dovrebbe tirarsi indietro, forse gli altri parlamentari non seguitano a fare i loro affari (professionali o occasionali)? Che poi si avvalga di società off shore o cerchi di aggirare il fisco è prassi nelle attività commerciali, persino la massaia non chiede lo scontrino fiscale per non aggiungervi la quota dell'l'iva. Se Berlusconi avesse detto: metto i miei soldi e rilevo l'azienda di Pomigliano per iniziare a produrre auto, i nemici gli avrebbero ugualmente rinfacciato la mossa in quanto incompatibile con la carica di presidente del Consiglio dei Ministri? Se l'affare è pulito e pubblico non c'è nulla di male. Diverso sarebbe il caso, per pura ipotesi, se l'investimento alle Cayman lo avesse fatto Massimo D'Alema che non è e non è mai stato un imprenditore, anzi che non ha mai lavorato in quanto ha fatto solo il politico, oltretutto da figlio di politico. Come mai, avremmo potuto chiedergli, proprio ora ti getti negli affari e perchè nei paradisi fiscali?
Diverso è l'esempio che il premier dà al Paese: servirsi di passaggi monetari non conformi alle regole imposte agli altri italiani e, oltretutto, in compagnia con personaggi chiacchierati. Una cosa è Berlusconi imprenditore, un'altra la carica istituzionale più importante, visibile e di esempio, dopo quella del Presidente della Repubblica.

martedì 19 ottobre 2010

L'arroganza imprenditoriale

Nel consueto dibattito tra giornalisti su Omnibus la7 tv del 18 scorso è emerso quanto ho prospettato, più volte e da decenni, nei siti e nei corsi: tutti i giornali hanno degli editori che in buona parte sono imprenditori in altri campi; che i giornali e i giornalisti sono autonomi rispetto alla proprietà del giornale (che concide con il datore di lavoro) ma qualche suggerimento o paterno consiglio arriva da parte della proprietà al direttore e ai capi redattore. Trattasi di suggerimenti a tralasciare o minimizzare (in iglese understatement = attenuazione del vero) oppure ad enfatizzare e sbattere in prima pagina questo o quell'argomento gradito o sgradito all'editore.
La conseguenza è che la massa delle informazioni che ci giunge spesso non corrisponde alla realtà, per eccesso o difetto. Come districarsi in un tale labirinto? Riducendo l'informazione (in questo caso comunicazione, in quanto incompleta per eccesso o difetto) allo stretto essenziale. Facciamo un esempio: l'azienda Caio chiude la sede italiana o per traslocare all'estero, in quanto la manodopera costa meno oppure perchè ritiene di non essere più competitiva. Nell'uno come nell'altro caso l'evento principale è la chiusura ed il relativo licenziamento degli operai. L'aspetto ha tre facce (come la moneta di Antonella Liberati): la proprietà che tutela i propri interessi, i dipendenti preoccupati per il loro futuro e lo Stato che vede l'aumento dell'inquietudine sociale e la diminuzione dello sviluppo economico nazionale. Un evento la cui soluzione necessita una mediazione fra le tre parti in causa ricorrendo a formule nuove, capaci di salvare capra e cavoli. Le lotte sindacali del Novecento non pagano più, così come non è più tollerabile l'arroccamento degli imprenditori. Cinquant'anni fa si affacciò, in Parlamento, l'idea dell'azionariato operaio che aveva dei punti negativi per ambedue i soggetti e anche per qualche settore produttivo. Non si potrebbe rivedere l'idea abbinandola ad una forma di obbligazionario privilegiato (partecipazione agli utili senza diritto al voto assembleare) controllato e incentivato dallo Stato? Per gli operai sarebbe una specie di garanzia per il loro futuro (con la sopravvivenza dell'azienda), per gli azionisti una cessione di quote (senza nessun esborso monetario ma virtuale) in cambio della cessazione dei conflitti e di una diversa produttività.

lunedì 18 ottobre 2010

I miei pregiudizi

Lo confesso, ho dei pregiudizi: non m'importa nulla della vicenda di Michele Santoro e di come possa andare a finire poiché non seguivo la trasmissione Anno Zero, così come non vedevo Porta a Porta del concorrente Bruno Vespa e le analoghe sceneggiate. Quelle poche volte che ci ho provato non ho resistito più di mezzora. Seguo invece, quasi costantemente, il dibattito di Omnibus su LA7 poiché molto spesso il confronto è fra giornalisti intelligenti e garbati che fanno capire qualcosa allo spettatore; ho i miei momenti di repulsione quando invece vedo (e sento) politici come Daniela SantanchèLivia del TurcoGiorgio  StraguadagnoDaniele Capezzone, Fabrizio Cicchitto e qualche altro, ma non per quello che dicono ma per come e quando: con toni aggressivi e interrompendo gli altri interlocutori. Evidentemente non sanno cosa vuol dire ragionare con educazione, rispettando le idee altrui: sembrano essere sempre in campagna elettorale ove, come si sa, le balle propinate al popolo fanno volare anche gli asini. Seguo, come posso, la rassegna stampa curata da Massimo Bordin per Radioradicale.
Tra gli altri pregiudizi ritengo che in periodi di crisi economica e quando occorre fare dei tagli al bilancio nazionale e recuperare un poco di denaro in favore della sanità, dell'istruzione, della sicurezza, della giustizia e dell'innovazione, le forbici del Tesoro dovrebbero colpire quelle spese improduttive, cioè che non hanno un ritorno di benefici concreti (materiali) per i cittadini. Come le lucrose missioni militari all'estero contrabbandate come necessità di presenza politica; i sovvenzionamenti o applicazione di imposte favorevoli a qualsiasi titolo e congrega, dai partiti alla Chiesa, dalla rendite agli spettacoli. Salvo ritornare alla situazione precedente superata la crisi, nel frattempo vedremo in giro meno spettacoli insulsi, meno facinorosi agli stadi e nelle piazze, meno congreghe e movimenti politici, con il ritorno alla vanga di molte presunte "star" dell'arte e dell'associazionismo.
La Chiesa, per esempio, ha già il suo 8 x mille dato volontariamente dai fedeli quindi perchè esentarla dall'Ici e contribuire al mantenimento delle sue scuole private, ecc.? Quei soldi non potrebbero essere dirottati per gli asili nido o altre forme di assistenza statale? A che serve il mantenimento di Forze Armate non destinate alla prevenzione e sicurezza della popolazione dai criminali e dai disastri ambientali? Diverso il discorso sugli armamenti in quanto sviluppano occupazione, tecnologie e vendite all'estero.
Ho dei pregiudizi l'ho detto ma mi conforta sapere che non sono solo ma in compagnia di almeno una dozzina di lettori. Meglio avere dei pregiudizi che essere scettico, ha detto Johann Gottlieb Fichte: "Lo scetticismo è la mancanza di intelligenza [...] che ci impedisce di percepire la verità". Il pregiudizio è una manifestazione di libertà, quella che Charles-Louis Montesquieu definiva "Il diritto di fare tutto ciò che le leggi permettono" e Trilussa (il poeta romano Carlo Alberto Salustri) cantava: "Povera libertà quando s'impone col mitra, col pugnale e col bastone".

sabato 16 ottobre 2010

La riforma della giustizia

Gli esperti dei partiti, stando alle loro dichiarazioni, sono a grandi linee d'accordo su quello che intendono per riforma della giustizia e sulle conseguenti proposte. I punti sono cinque: un lodo salvacondotto per qualsiasi presidente del Consiglio dei Ministri sino a che sarà in carica, la separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri, una diversa composizione del CSM e della Corte Costituzionale, il processo breve ed il risarcimento da parte del giudice che sbaglia.
Ad eccezione delle due ultime proposte le prime tre non riguardano i cittadini o, perlomeno, non gli porterranno benefici; sono provvedimenti intesi a cautelare ministri e parlamentari dalle incursioni dei magistrati. Il processo breve lo anela qualsiasi cittadino ma quello che più preme è che la giustizia sia veramente tale: giornalmente assistiamo ad incalliti malfattori che, potendosi permettere il fior fiore degli avvocati, fra lunghezze procedurali, cavilli, patteggiamenti e scappatoie varie si beffano del malcapitato cittadino onesto. Così come nel caso di taluni omicidi, dissesti ecologici e finanziari. Per non menzionare l'ingerenza della politica, dei sindacati e delle varie congreghe nel consigliare qualche giudice o, se necessario, trasferirlo. Il processo breve è un passo ma non risolve l'ingiustizia patita e beffata da prescrizioni, condoni, domiciliari, attenuanti e disparità di peso giurisprudenziale tra avvocati (art. 3 della Costituzione ancora incompiuto).
Infine, sino a che saranno colleghi ad esaminare gli errori dei giudici per sanzionarli che speranza avrà il cittadino indifeso di essere risarcito? Non siamo in presenza di evidente incompatibilità?

venerdì 15 ottobre 2010

Le priorità della Chiesa

Monsignor Rino Fisichella, presidente del Pontificio consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione, a proposito della bestemmia nel finale della barzelletta raccontata da Silvio Berlusconi, ha scritto nella rubrica settimanale su Oggi (n. 41 - 13 ottobre 2010) che la probizione di "parole di odio, di rimprovero, di sfida, nel parlare male di Dio [...] si estende alle espressioni contro la Chiesa, i Santi e le cose sacre". Ha poi precisato: "[...] mentre il contenuto è sempre grave, non sempre la persona che bestemmia pecca",  chiedendosi se "[...] è peggio dire un'insulsa barzelletta condita da un'imprecazione, o presentare una legge contro la famiglia e pro nozze gay? Salvare la vita di Eluana o preferire l'eutanasia? Migliorare la legge sull'aborto o favorire la RU 486?"
Con riferimento alla nostra nota del 13 scorso (I benefit del Vaticano) osserviamo che, in pratica, per mons. Fisichella vengono al primo posto le questioni politico-sociali (gay, eutanasia, aborto) e poi l'evangelizzazione spirituale. Che sia questo il significato della "promozione della nuova evangelizzazione" di cui è presidente? Una evangelizzazione tesa a creare fedeli disciplinati ed osservanti delle leggi politico-sociali perorate dalla Chiesa, con evidente ingerenza nello Stato italiano e nelle sue istituzioni. Ove tutto, infine, porta ad attività lucrative che nulla hanno in comune con la religione e la fede.

mercoledì 13 ottobre 2010

I benefit del Vaticano

In sede europea è stato sollevato il problema delle condizioni di favore concesse dal governo italiano allo Stato del Vaticano. Trattasi dell'esenzione del pagamento dell'ici e dell'imposta sulle entrate relativi ai beni immobili posseduti dalla Chiesa ed ai ricavi connessi dalle attività commerciali. Il privilegio concesso alla Chiesa cattolica (ma non per pari opportunità anche ai protestanti, testimoni di Geova ed altre religioni) ha accampato il pretesto che la Chiesa cattolica, in quanto culto di fede religiosa, svolge un'opera essenzialmente culturale e di elevazione spirituale (e le altre religioni?).
Messa così potrebbe anche star bene, se ne beneficiassero tutti i culti, nel loro luogo di preghiera: dalla moschea alla cattedrale luterana o alla sinagoga. Ma che centrano palazzi di proprietà della curia o di ordini religiosi affittati a uffici, famiglie e negozi? In che consiste l'atto religioso in una transazione commerciale di affitto? E, peggio ancora, perchè esentare anche edifici adibiti a scuola (ove i genitori degli alunni pagano una retta, spesso alta, specie nelle scuole superiori) che altro non sono che una vera e propria attività commerciale lucrativa? Per non parlare delle case albergo e delle agenzie turistiche di viaggio. Il fatto è che il Vaticano, così come la politica e le case regnanti, ha un costo che in minima parte è alimentato dai fedeli.
Si capisce allora l'impresa turistica e scolastica messa in piedi dalla Chiesa: rastrellare sotto altra forma il denaro dei fedeli, attraverso viaggi, rette scolastiche, etc.
Così come si evidenzia sempre più la necessità da parte del Vaticano di mantenere il numero dei credenti per assicurarsene vantaggi economici, in grado di mantenere la Santa sede. Creare fedeli attraverso la dottrina (l'indottrinamento che è una forzatura culturale) inculcata dalla prima elementare sino alla terza media attraverso l'ora settimanale di religione, impartita da insegnanti scelti dalla curia ma pagati dallo Stato italiano. Otto anni di indottrinamento nella religione cattolica (depurata dalla verità storica e scientifica) a giovani nell'età dello sviluppo culturale: un vero e proprio proselitismo a senso unico per mantenere consensi e benefit.
A proposito della bestemmia del presidente Silvio Berlusconi molti osservatori hanno notato che sia Avvenire (il quotidiano cosìddetto dei vescovi) che gli alti prelati non sono intervenuti in proposito; alle gerarchie ecclesiastice fa comodo che al premier sia sfuggita una bestemmia (magari ne venissero altre!): un Berlusconi in difficoltà (per la voce dal sen sfuggita, come cantava il poeta) si troverà in posizione remissiva nelle trattative con il Vaticano e per farsi perdonare e ottenere l'appoggio elettorale sarà costretto - a dispetto dall'imposizione della Cee - a studiare qualche escamotage per mantenere i benefici alla Chiesa cattolica.

lunedì 11 ottobre 2010

Città e campagna

La campagna è rappresentata generalmente come luogo idilliaco, di meditazione, di calma assoluta, di nostalgia dei tempi andati, di immobilismo, di fissità; di converso la città come luogo di opportunità di ogni tipo, di passatempi, di servizi vari, di traffico, di ambizioni, di tentazioni, di movimento. È l’insuperabile dualismo, letterariamente ben inteso, tra gli altri, nel I sec. a. C. da Orazio, maestro dell’ars vivendi, che nel corso della sua opera lo propone, con poetica acribia, nelle Satire (I, 1; II, 6) e nelle Epistole (I, 14) confessando, saturo ad un certo punto dell’urbanitas insidiosa, la sua predilezione per la campagna.
La discrepanza si presenta lungo tutto il cammino della storia umana, dallo sviluppo dell’urbanizzazione fino all’attuale globalizzazione, trovando la sua massima espressione nella società medievale, in cui il contadino della campagna circostante veniva percepito come uno straniero pericoloso e sospetto agli occhi del cittadino. Era tuttavia un’età mancante di libertà individuale, immobile, fissa, imperniata esclusivamente sull’appartenenza sociale data dal ruolo rivestito. La fine del medioevo fu segnata dal crollo, dalla frantumazione delle distinzioni di casta feudali e dall’affermazione di una potente classe di nobili e borghesi, ambiziosi e potenti, che vivevano entro le mura della città con fuori il resto della popolazione. Da lì i due sistemi di vita, cittadino/contadino, distinti geograficamente e socialmente, sono rimasti pressoché tali fino ai nostri giorni.
Qual è l’immagine e il funzionamento dei due sistemi oggi? La città è il luogo della bellezza e della funzionalità prossima: commercio, assistenza agli anziani, istruzione ai bambini, e formazione culturale per i giovani in strutture fondamentali quali sono le università, le biblioteche, gli archivi, il cinema, il teatro, i centri sportivi, musicali, artistici. In essa si esprimono idee sociali e politiche, anche se lontanamente da come lo facevano i Greci nell’agorà e i Romani nel foro, si scambiano opinioni, si analizzano tendenze, prospettive, efficienza. L’aspetto estetico dei centri storici tuttavia è altamente compromesso dal traffico automobilistico, dall’inquinamento e dalla mancanza di rispetto del decoro, la cui responsabilità ricade su ogni cittadino. La città vive inoltre altri due problemi: la scomparsa dei negozi di prima necessità, sostituiti dai centri commerciali posizionati nelle periferie, e la sicurezza non sempre garantita. I suoi ritmi sono frenetici, caotici, omologanti e poco spazio lasciano alla riflessione, al silenzio, alla visitazione interiore, cosa che invece è possibile in campagna attraverso il contatto con tutto ciò che è naturale e partecipante di un insieme atavicamente ben ordinato, dove tutti gli elementi sono concatenati. In un ambiente simile infatti l’uomo trova ristoro mentale, sollievo, appagamento, gode della gradazione del verde, contempla i tramonti, i cieli stellati, misura il tempo con l’osservazione del firmamento, del sole, della luna.
La campagna dunque è semplice, ignara, felice, abitata da gente ospitale, generosa, in contrapposizione alla realtà cittadina, spersonalizzante, diffidente, indifferente, individualista e affarista. La campagna purtroppo però si sta trasformando: è in corso un processo di disincanto dovuto ai cambiamenti di stile di vita, all’uso dei mezzi di comunicazione che tanto hanno contribuito al progresso quanto falsato quel senso genuino di vivere. Così anche la campagna è caduta nell’ormai diffusa confusione, ha perduto la spontaneità, si è smarrita, arginando le sane ed equilibrate usanze. Il tentativo di apertura verso il mondo, contro quella chiusura che da sempre le è stata attribuita, è disorientato. A ciò si aggiunga l’ostinazione di antropizzare il territorio campagnolo, disseminandolo di costruzioni dispersive, di insediamenti residenziali e produttivi, che non fanno altro che degradarlo.
Nonostante ciò, l’idillio campestre rimane laddove i cani ringhiano prima dei temporali, i gatti si arrampicano sugli alberi e ricadono sempre di testa iniziando a fare i rotolini nella totale libertà, le pecore esprimono la loro mansuetudine, i galli col loro canto annunciano l’inizio di un nuovo giorno, puntualmente ogni giorno, contagiando i loro vicini, le cicale cantano, le rane gracidano, gli asini ragliano, gli uccellini pispigliano. Tali presenze agresti rendono lo spazio armonico, lo colorano, lo rallegrano. Inoltre passeggiare nei boschi, nei prati aiuta a superare molte paure innate nell’uomo e a sviluppare un controllo degli stati emotivi. L’uomo tende ad imporre il proprio dominio, a discostarsi dall’ambiente naturale che lo sostenta dimostrando una scarsa capacità di sapersi muovere tra ciò che ha trovato e che deve rispettare per sopravvivere, arando e coltivando, attraverso un’efficace e funzionale riqualificazione dell’agricoltura, e ciò che invece è stato da lui plasmato razionalmente, artisticamente.
Su tali differenze si deve soffermare la riflessione senza fare della campagna il luogo dei villani e della città quello degli aristocratici, in quanto le due realtà devono interagire e sostenersi vicendevolmente. A tal proposito si tenga presente il noto modello di vita esemplare di Cincinnato, vissuto a ridosso dell’epoca repubblicana romana, uomo politico, nel senso greco del termine, e agricoltore al tempo stesso. (scritto da Antonella Tennenini) 

domenica 10 ottobre 2010

La fine dell'Inghilterra

"La fine dell'Inghilterra inizia da Giarabùb" cantarono gli italiani nell'ultima guerra mondiale quando le truppe inglesi espugnarono la località libica cacciando l'armata italo-tedesca nel deserto, si presumeva infatti che in seguito ad un'annunciata controffensiva l'esercito dell'Asse avrebbe definitivamente sconfitto "la perfida Albione", come veniva definita la patria degli avversari. Nel corso della guerra i quotidiani italiani annunciarono abbattimenti di aerei nemici, migliaia di prigionieri, respingimenti sulla spiaggia siciliana, vittoriose battaglie in Campania, inchiodamento a Montecassino delle truppe avversarie con quotidiana supremazia dei soldati italiani; finchè, vittoria dopo vittoria dell'Asse italo-germanica (come annunciato dai giornali), i romani videro l'esercito nemico sfilare nella capitale. Non ci fu la fine dell'Inghilterra ma quella del nazi-fascismo.
E' storia di tutti i giorni, gli sconfitti sperano sempre in un capovolgimento. Psicologicamente è difficile ammettere o accettare errori o umiliazioni, la colpa è sempre di altri: tradimenti in guerra o in amore, incompetenza del socio, invidia del collega, etc., così come lo sconfitto spera sempre nella rivincita: al poker, in amore, in guerra, nella vita. E' duro perdere ma è ancora più duro annunciarlo in pubblico o pensare che si perderanno anche le future battaglie (anche quelle della vita di ogni giorno). E' questo il motivo per cui gli sconfitti si atteggiano a vincitori.
E' il caso dei due leader Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini. Dopo qualche anno di rivalità latente, sfociata negli ultimi mesi in un duro scontro supportato dai media, hanno perso entrambi (specie il favore della cosiddetta opinione pubblica) ed hanno rabberciato una ricomposizione di facciata. Così come previsto nella nostra nota del 10 agosto scorso (Lo avevamo ipotizzato) apparsa sul sito http://www.opinionepubblica.com/ : "...tireranno a campare rinviando lo scontro di anno in anno. Nulla cambia: tuttalpiù arriverà qualche sigla nuova e qualche nuovo scandalo!".

sabato 9 ottobre 2010

La grande ipocrisia

Altri quattro militari italiani sono caduti in una imboscata in Afganistan, al di la del rispetto che si deve alle vittime e al dolore dei parenti e degli amici l'occasione è buona per una riflessione. Il rispetto va a qualsiasi morto ammazzato, in guerra o per mani della mafia, per una vendetta amorosa o un tragico incidente; un maggiore onore potrà essere tributato a quel caduto che si è immolato per salvare altre vite o nell'adempimento di valori internazionali. Così come una pensione privilegiata o un concreto aiuto dello stato dovrebbe andare non solo ai famigliari dei militari ma anche alle vittime della mafia, di attentati, di disastri ecologici o industriali. Sarebbe un segno di civiltà (l'applicazione dell'égalité e fraternité della Rivoluzione francese) evitare ai parenti delle vittime di ricorrere a quella che viene chiamata Giustizia ma che spesso non lo è.
Così come dovrebbe essere chiamato con il suo vero nome l'intervento delle forze militari in Afganistan e in altri paesi classificati arretrati, o covo di terroristi o fondamentalisti. Non può esistere un intervento armato in un altro paese che possa essere giustificato come mantenimento dell'ordine o cattura di terroristi; aerei, carri armati, pattuglie nelle strade non sono un indice amichevole e sviluppano nella popolazione un risentimento verso il governo e i militari stranieri che lo sorreggono. Dato che all'estero, secondo recenti sondaggi, l'Italia è conosciuta come il paese della Mafia e della pizza che direste se un esercito internazionale, sotto l'egida dell'Onu, occupasse la penisola con carri armati, forze d'assalto e marines per assicurare alla giustizia i clan dei mafiosi (che notoriamente sviluppano legami criminali in tutto il mondo, da qui la risposta internazionale)?
In Afganistan c'è una guerra contro i talebani. Le forze internazionali sono colà per sorreggere il governo locale. Bene, male? E' difficile dare giudizi di valore: quando i carri armati russi invasero Praga lo fecero per sorreggere il governo comunista; gli Usa entrarono in guerra, nella seconda guerra mondiale, per difendere l'Europa dall'invasione nazista. La Chiesa cattolica decapitò migliaia di teste di eretici, rei di contrastare verbalmente la dissolutezza delle gerarchie ecclesiastiche o i dettami imposti dalla Chiesa.
Se gli Stati Uniti, per ragioni di strategia militare e di interessi economici, hanno bisogno di controllare quel territorio lo invadano pure militarmente ma non dicano che lo fanno per ragioni umanitarie e non coinvolgano nel loro gioco (per crearsi un alibi di copertura internazionale) altri paesi con la scusa delle "missioni di pace". Gli ultimi caduti italiani andavano ad istallare un avamposto nel territorio dei ribelli, il precedente caduto, l'incursore Massimiliano Randino, tornava da una missione d'attacco ad un fortino nemico. Sono missioni di pace?

mercoledì 6 ottobre 2010

Un primato misconosciuto

Nella sua lezione all'Università Federico II di Napoli la docente Rosanna De Rosa, riferendosi ai concetti di "pubblico" sviluppatisi nello scorso secolo in relazione alla teoria dell'opinione pubblica, ha citato Park (1972) e Blumer (1946): il primo per aver distinto il pubblico dalla folla, il secondo per aver inquadrato il pubblico come "un gruppo di persone".
Consigliamo la docente di dare un'occhiata nella biblioteca dell'Università: ci dovrebbe essere la modesta pubblicazione Demodossalogia ed opinione pubblica (edita dalla Sidd nel 1998) che attribuisce lo studio sistematico, le definizioni ed i concetti di pubblico, opinione pubblica, peso della stessa nella società e così via, agli italiani Paolo Orano (già rettore della regia Università di Perugia, primo docente di Storia del Giornalismo nel 1928) e Federico Augusto Perini-Bembo (libero docente a La Sapienza di Roma dal 1938 al 1988). In alternativa, se la pubblicazione non fosse più disponibile alla Federico II o alla Suor Orsola Benincasa, rimarrebbe la biblioteca dell'istituto Luigi Sturzo a Roma o la chiarificazione pubblicata sulla rivista  Sociologia (anno XXVII - 1993 - n. 1-3) dello stesso istituto.
Sarebbe ora che, almeno noi italiani, incominciassimo a rivalutare e divulgare "un patrimonio tutto italiano che non ha uguali nel mondo" come auspicato nella citata rivista.