mercoledì 29 giugno 2011

Da Garibaldi a Bisignani

Noi siamo il prodotto del passato. L'Unità d'Italia è stata voluta e propagandata da quel ristretto gruppo di borghesi e letterati (vedasi il post dell'1 giugno) che seppero diffondere l'idea alla massa contadina ed analfabeta del tempo, sino all'avvento del condottiero Giuseppe Garibaldi, allora definito brigante al pari delle bande regionali che assaltavano i viaggiatori.
Il popolo non ha mai partecipato alla conduzione della cosa pubblica sia perchè viveva sotto principati (regno dei Savoia, dei Borboni nelle due Sicilie, dello Stato Pontificio, dell'Italia centrale) o protettorati (il dominio austriaco nel lombardo-veneto). Neppure con l'Unità d'Italia il popolo ha partecipato alla vita politica, tant'è che potevano votare solo gli uomini che fossero in grado di dimostrare di saper leggere e scrivere e avere un reddito minimo (il 2% della popolazione). Il voto alle donne è stato concesso nel dopoguerra repubblicano mentre il suffragio universale maschile è del  1913. Sino alla conquista del potere da parte di  Benito Mussolini i partiti erano circoli ristretti di conservatori-liberali o di pensatori socialisti, che non seppero coinvolgere la massa. Grazie all'uomo moderno (di allora) e alla sua oratoria popolare, la massa aderì al fascismo come atto di partecipazione alla politica, relegando ai partiti d'opposizione (poi messi al bando) la progettazione intellettuale. In pratica neppure durante il periodo fascista il popolo ha partecipato alla cosa pubblica in quanto le decisioni e le nomine venivano calate dall'alto ed annunciate platealmente.
Con l'avvento dell'Italia repubblicana (2 giugno 1946) sorsero molte formazioni politiche di varie tendenze (da 2-3 partiti monarchici a quello repubblicano, dal partito liberale a più formazioni socialiste, ecc.) ma la maggioranza dei consensi si riversò sulla Democrazia Cristiana di Alcide De Gasperi (un polpettone di correnti in lotta per spartirsi il potere) seguita da un partito Comunista Italiano più attento alle direttive di Mosca che alla visione europea (nonostante qualche timida riserva di Palmiro Togliatti). In una tale situazione di frantumazione politica e di storica mancanza di una classe dirigente proveniente dalla media borghesia, i gruppi emergenti di allora (industriali, banchieri, editori e palazzinari) si unirono alla borghesia tradizionale (latifondisti, nobili in fase d'estinzione, prelati e iper-benestanti) per dar vita a comitati d'affari in grado di gestire il Paese.
Gli affaristi e i mediatori di oggi non sono altro che la perpetuazione di quei "compagni di merenda" che nel dopoguerra si riunivano periodicamente in lussuose ville per scambiarsi informazioni e consolidare una rete di interessi e di occupazione delle cariche pubbliche. Pertanto non avendo avuto una tradizione di dirigenti servitori dello Stato ci ritroviamo con funzionari servi di poteri esterni all'apparato pubblico e all'interesse generale del Paese.